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domenica 14 aprile 2013

Tra tradizione e magia. Le Madonne arboree...


"Tra natura e cultura tradizionale alcuni esempi abruzzesi"



Le apparizioni mariane tra i rami degli alberi, accomunano molte località italiane. 
Le diverse localizzazioni geografiche hanno determinato una differente varietà vegetale designata all'evento sacro. Per suggerire qualche esempio non esaustivo, alberi come la Quercia e il Pioppo insistevano su zone di montagna o collina, il Fico o l’Ulivo si collegavano ad uno spazio pianeggiante, di costa o di leggere alture. Agli albori dell’umanità l’elemento arboreo diventava, nell'immaginario collettivo, il legame con la Terra entro la quale affondava le sue radici per trarne la vita. 

La Grande Madre, la Madre Terra era la divinità più importante a cui l’uomo affidava i suoi affanni e le sue speranze in periodi storico-religiosi che precedevano il Cristianesimo. Se la Terra generava gli alberi questi, a loro volta, producevano fiori e frutti; tutta la mitologia del Nord Europa parlava di sacralizzazione degli alberi e dei boschi e la stratificazione di culti, riti e credenze di un tempo passato si incontrava con il nuovo messaggio evangelico della Vergine e di suo Figlio. 

L’uomo non abbandonava il proprio bagaglio ancestrale e l’ingresso alla nuova religione era pervaso da contaminazioni antiche fino a crearne forme sincretiche che, in seguito, perderanno il ricordo del passato per divenire culto esclusivamente cristiano. 
Maria figura femminile e materna, raccolse, in modo simbolico, alcune tracce attribuite precedentemente alle divinità femminili precristiane diventandone un collegamento importante poiché rappresentava un simbolo nel quale vecchio e nuovo potevano facilmente configurarsi. L’acqua, elemento sacro presente in tutte le religioni, si inseriva nel tracciato dei nuovi riti. Liturgie di ringraziamento per la scoperta di una sorgente, o per l’arrivo di una pioggia ristoratrice si rinnovavano soprattutto nel tempo primaverile. Era perciò più semplice per l’uomo continuare a compiere quei gesti che gli erano familiari nei riguardi della divinità (offrendo fiori, piante appena sbocciate, portando gli animali da lavoro ad ossequiare la Vergine) decantandoli, a mano a mano, da antiche eredità pagane. 

Gli alberi, quindi, ben si inserirono nel corso della storia religiosa che riguardava le apparizioni mariane, il legame con la Madonna divenne così emblematico che il loro nome si accostò a quello della Vergine definendone anche la località presso cui vi era stata l’apparizione e, in seguito, la costruzione del santuario. 
Nel tessuto umano e naturale così evidenziato, si inserirono, come tante fibre colorate le leggende di fondazione degli edifici sacri legati alle madonne arboree che scaturirono da una primigenia apparizione mariana. L’intreccio narrativo spesso si ripeteva anche se l’evento accadeva in luoghi lontani o limitrofi, cadenzato da una dinamica di avvenimenti che, partendo dall'apparizione  attraverso una serie di accadimenti confluiva nella esecuzione finale dell’erezione della chiesa. 

Le diverse funzioni che riguardano le leggende di fondazione, accuratamente analizzate da noti studiosi, si dipanano attraverso una sequenza che si ripete: avveniva l’apparizione della Vergine tra i rami di un albero ad un uomo (contadino, pastore, nobile), la Madonna chiedeva la costruzione di un tempio, l’uomo ne parlava agli altri ma non veniva creduto, la Vergine insisteva e ammoniva gli increduli con una punizione, il popolo si convinceva dopo aver constatato l’evento negativo e, professando la fede in Lei, costruiva la chiesa. I segmenti possono essere tutti presenti o in parte, in alcuni casi, l’apparizione mariana si ripeteva più di una volta. 

Se fra i rami, dopo la visione, si materializzava una statua e veniva spostata dal luogo originario, spesso essa ritornava sulla chioma dell’albero quasi a segnalare lo stretto legame con il suo santuario naturale. 
In Abruzzo, la presenza delle madonne arboree risulta notevole. Piccoli e grandi santuari sono dedicati alla Madonna apparsa fra i rami di una pianta con la conseguente leggenda di fondazione, chi scrive, ne propone la narrazione tradizionale di alcuni di essi.

Nell'Aprile del 1557 Bertoldino, contadino che raccoglieva un po’ di legna da riportare nella sua casa di Cologna, si stava per assopire, intorno a mezzogiorno, all'ombra di un Ulivo quando, tra i rami dell’albero, rimase folgorato dall'apparizione della Vergine Maria che lo esortava a tornare a Giulianova per avvertire tutti di quello che aveva visto e per esaudire la richiesta di fondazione di un santuario proprio in quel luogo. Il contadino taglialegna corse in città ma non riuscì a convincere i notabili e il governatore anzi, nonostante la sua insistenza, fu allontanato e preso per ubriaco. Bertoldino tornò sconsolato al luogo dell’apparizione con il timore di non trovare nessuno ma la Madonna lo attendeva e, di nuovo, lo pregava di convincere il capo della città. Anche la seconda richiesta non sortì nessun effetto e, per la terza volta, il contadino tornato sul luogo santo, vide la Vergine che gli si manifestava tra i rami dell’Ulivo, pregandolo ancora. La sua tenacia e la sua fede non vennero ricompensate, non riuscendo a convincere nessuno a salire sul colle. Fu di nuovo ingiuriato e percosso da un uomo violento ma l’intervento salvifico della Madonna lo liberò e rese il brutale individuo muto e paralitico. Il doppio evento soprannaturale terrorizzò tutti, chiunque comprese che si trattava di qualcosa di non umano e clero e popolo si portarono al luogo predetto, in processione. Il corteo era guidato da Bertoldino e, arrivati lì, tutti rimasero a loro volta folgorati da Maria che volle, anche in questo caso, operare un doppio miracolo: fece sgorgare una sorgente d’acqua e sanò il dispotico aggressore. 

Gli eventi miracolosi: le apparizioni, l’acqua, il risanamento dell’uomo, diramarono la santità di quello spazio voluto dalla Madonna contribuendo alla fine della pestilenza che attagliava le vicinanze di Giulianova e rendendo il Santuario, oggi come ieri metà di continui pellegrinaggi; gli infermi con l’acqua miracolosa e fede incrollabile rinnovano il loro legame con la speranza salvifica della Madonna dello Splendore. A ricordo dell’antica apparizione, il corteo processionale si apre, il 22 aprile, con una rappresentanza degli abitanti di Cologna, paese dal quale Bertoldino proveniva.

Nel maggio del 1480 si verificò a Canzano, in provincia di Teramo, la triplice apparizione della Madonna che chiedeva la fondazione di una chiesa in un determinato territorio. Era un periodo costellato di molte calamità politiche che rendevano poco confortanti i presagi per il futuro delle popolazioni di quella provincia. Era circa mezzogiorno e il contadino Floro di Giovanni stava arando il suo campo con l’aiuto dei buoi che tiravano l’aratro ma che, ad un certo punto, nonostante l’uso del pungolo, si arrestarono nei pressi di un Alno (un Pioppo bianco) e si inginocchiarono sulle zampe anteriori fissando lo sguardo tra le fronde. Floro spostò lo sguardo dai suoi animali alla chioma dell’albero e, inginocchiatosi, vide una splendida Signora, la Regina del cielo, che gli chiese di avvisare gli abitanti di Canzano circa il Suo desiderio di vedere edificata una chiesa in Suo onore nella località del Piano del Castellano. Il contadino corse in paese per raccontare la visione ma non fu creduto da nessuno, anzi fu deriso e sbeffeggiato anche dal Consiglio dei reggenti che governava quella località. Il giorno dopo, tornato alle sue mansioni, l’apparizione mariana si manifestò alla stessa ora di nuovo mentre si inginocchiarono gli animali che egli guidava. Questa volta la Madonna posò i suoi piedi sulla terra e Floro le riferì che nessuno gli aveva creduto in paese, la Madonna scomparve in silenzio. Durante la terza apparizione, il giorno seguente Lei chiese di nuovo al contadino di esporre le sue volontà e, in caso di risposta negativa, di prendere un cavallo molto violento, di proprietà della famiglia Falamesca De Montibus e di farsi guidare dall'animale senza paura. I canzanesi continuarono a sfotterlo e il proprietario del cavallo, dopo aver declinato la sua responsabilità su ciò che poteva accadere al cavaliere, assentì. Floro cavalcò senza angoscia e il cavallo, guidato da mano celeste, si recò mansueto al Piano del Castellano dove effettuò tre giri tracciando sul suolo i segni del recinto sacro sul quale, in seguito, fu eretta la chiesa dal popolo di Canzano esultante per il miracolo. L'animale concluse il suo compito con una genuflessione, toccando con il muso la terra quasi a baciarla e se ne tornò poi alla stalla dove ridivenne una bestia indomabile. 

La venerazione degli abitanti del luogo per la Madonna dell’Alno, oggi come allora è molto forte come numerosi sono i miracoli che vengono ricordati. 

Nel Giugno 1614 dal petto della Santa immagine si irradiò una luce molto forte che sovrastava l’illuminazione delle candele, il fenomeno durò circa mezz'ora poi la luce iniziò a ridursi fino a consumarsi.

Molti sono i santuari italiani sorti intorno ad un simulacro sacro, statua o immagine pittorica, rinvenuta sulla riva del mare o portata da una barca oppure trovata in un cespuglio; i tentativi poi di rimuoverla dal luogo dell’apparizione risultavano spesso inutili perché la statua o l’effige era diventata pesantissima, impossibile da spostare. Tale evenienza costituiva, nella maggior parte dei casi, il presupposto per l’edificazione di una chiesa proprio nel luogo del rinvenimento.

Tra le numerose manifestazioni processionali che attraversano la nostra regione quella di Rapino, in provincia di Chieti, si caratterizza per l’originalità dei bambini che sfilano non come semplici attori ma con una funzione ben precisa: quella di essere ritualmente offerti alla Madonna attraverso una promessa che rievoca antichi miti di origine precristiana. 

La zona di Rapino anticamente era dedicata alla dea Marruca (da cui il nome di popolo Marrucino) dea madre legata alla terra, la quale veniva adorata, con partecipazione di vergini sacerdotesse, nella celebrazione del culto dell’acqua. 

Esistono molti punti di contatto tra liturgie precristiane e quelle religiose più attuali, dove, come nella processione del Madonna del carpino, l’innocenza dei bambini viene offerta alla Santa Madre, sempre con connessioni al ciclo agrario e per impetrare la pioggia. Le “verginelle” di Rapino ridefiniscono annualmente l’offerta della loro purezza in relazione ai miracoli ricevuti, alcuni dei quali legati all'acqua così preziosa e temuta nel periodo di Primavera. La festa cade l’8 Maggio e il rigoglio della natura primaverile contribuisce alle celebrazioni di questa Madonna arborea. 

Uno degli intrecci leggendari di cui si è parlato si manifestò anche in questa circostanza. La tradizione narra di un pastorello che, tra il XII e XIII secolo, mentre badava alle sue pecore, ebbe l’apparizione di una magnifica donna che lo invitava a chiamare tutti gli abitanti del borgo per riferire l’accaduto e, nello stesso tempo, gli proponeva di accudire momentaneamente il gregge. È evidente come la leggenda tenda ad umanizzare l’immagine divina della Madonna che, in quel momento, si sostituiva alle mansioni del giovane. Quando gli abitanti arrivarono sul luogo non trovarono più la splendente signora, ma una statua posta su un Carpino, albero comune in quella località. In seguito nello stesso sito fu costruito il santuario. L’effige non è mai stata rimossa: la leggenda narra che una sola volta, a ringraziamento di un miracolo avvenuto riguardante la pioggia che costituisce una particolarità di questo culto, la statua fosse stata spostata dall'altare fino alla porta della chiesa ma essa divenne così pesante che non si riuscì a portarla fuori dal recinto sacro. Per questa ragione fu creata un’altra statua che, attualmente, si trova nella chiesa parrocchia di S. Lorenzo, nel centro del paese, e viene utilizzata per la processione. 

Fra i tanti miracoli attribuiti alla Madonna del Carpino (il santuario è posto fuori del paese, davanti ad esso si trova una Quercia secolare sotto la quale si raccolgono i pellegrini provenienti dai paesi limitrofi) vi è quello che si è manifestato, in periodo settecentesco quando, dopo mesi di siccità, cadde una pioggia miracolosa proprio su Rapino e permise di salvare i raccolti.

Lo scorrere del tempo pastorale differiva dal calendario contadino. Se vi erano divergenze nei tempi delle semine e dei raccolti rispetto a quelli delle partenze e dei ritorni con le greggi, gli itinerari e le date dei contadini e dei pastori convergevano nei percorsi pellegrinali che cadevano anche nei periodi di fiere e mercati. 

Il collegamento tra Puglia e Abruzzi è alla base della leggenda di fondazione del Santuario della Madonna di Roio, a L’Aquila, sorgendo nelle vicinanze del celebre tratturo L’Aquila-Foggia. All’origine del Santuario vi è il ritrovamento di una statua della Madonna in cedro dorato, attribuita al XIV sec., presumibilmente non opera abruzzese, da parte di un giovane pastore nativo di Lucoli (AQ) recatosi con le greggi a svernare in Puglia. Poiché aveva perduto il suo gregge, pregò la Madonna che gli apparve in un bosco, indicandogli il luogo dove Felice Calcagno, così si chiamava il pastore, lo ritrovò. La voce corse e si diffuse tra tutti i pastori che svernavano nel Tavoliere i quali si recarono sul posto per ammirare una statua di grandezza naturale con le stesse sembianze della visione avuta da Calcagno. Il gruppo di transumanti, al ritorno in Primavera, pose la statua su un mulo, che si arrestò, piegando le ginocchia presso la Croce del Castello di Roio. Nei tentativi di trasportarla nel loro paese, a Lucoli, la statua tornava nella precedente località, dove fu costruito il santuario meta, da quel momento, di preghiere, voti e pellegrinaggi soprattutto del mondo pastorale. 

L’esigenza, come si diceva, di creare ierofanie e miti che si avvicinano alle vere necessità di un particolare gruppo di uomini, contribuì, in tal caso, alla nascita di una leggenda, la quale trovava spunti e addentellati con la “realtà reale” della scansione del tempo pastorale. Questa realtà, d’altra parte, combaciava con i tempi di angoscia, stupore, gioia, estasi del miracolo, ma anche con i momenti annuali vissuti dai pastori che, afflitti nel partire, tornavano lieti di restare a casa per un po’ di tempo con i propri cari, prima di riprendere nuovamente il lungo, faticoso cammino. 

La statua della Madonna potrebbe rappresentare lo stesso mondo pastorale, sempre in movimento dall'Abruzzo alla Puglia. La determinazione di fermarsi in un luogo dove verrà costruita la chiesa, dopo il ritorno dal viaggio, potrebbe voler manifestare il desiderio di sosta definitiva della faticosa vita del pastore transumante costretto a passare lunghi periodi lontano dalla sua famiglia, a non veder crescere i propri figli di solito concepiti in estate e nati prima del suo ritorno.

Nella dinamica delle priorità, in merito alla devozione, la figura femminile della Madonna, che richiama mitiche presenze sul culto della Dea Madre, era quella che veniva privilegiata. Le motivazioni economiche e devozionali insieme facevano del santuario della Madonna Incoronata a Foggia il centro del circuito sacro dal quale si irradiavano percorsi tratturali e altri santuari. 

La Madonna pugliese è una Madonna nera ed il colore riporta alla memoria tutte le numerose altre Madonne scure sparse sul territorio italiano (Madonna di Loreto, della Milicia, di Trapani, di Tindari, di Palmi, di Seminara, di Oropa ed altre) creando un sicuro collegamento con divinità femminili precristiane poiché il nero è il colore della terra da cui nasce la rigenerazione vegetale coinvolgendo percezioni, immaginazioni e credenze spesso inconsce. 

Secondo la tradizione, la fondazione del santuario risale al principio del secolo XI quando un ricco signore della Puglia sognò di vedere un bellissimo daino che correva tra i cespugli, inondato di luce. Recatosi a caccia presso la zona boscosa del fiume Cervaro, spinto dalla suggestione e dalla curiosità, il sogno divenne realtà dal momento che lì vide un grande fascio luminoso e cadde in ginocchio ai piedi di una Quercia sentendo una voce che gli manifestava la sua natura divina ed il desiderio dell’edificazione, in quel luogo, di una cappella. Tra i rami dell’albero, una volta sparita la luce, apparve la statua della Madonna Incoronata. In quel momento giunse un contadino che portava i suoi buoi al pascolo. Gli animali si inginocchiarono davanti al prodigio e Strazzacappa, questo era il suo nome, prese una caldaietta colma di olio che sospese ad un ramo della quercia in onore della Madre Santa. Miracolosamente l’olio durò per lungo tempo e il ricco signore, probabilmente il conte Guevara, fece edificare la cappella richiesta dalla Vergine che venne poi inglobata nell'altare maggiore dell’attuale santuario. Antichi riti venivano compiuti all'esterno e all'interno del santuario come quello dei tre giri da effettuare, intorno alla chiesa, prima di entrarvi e che richiama un uso di probabile origine bizantina. Lungo le tre strade maggiori che conducevano al santuario, a circa un chilometro dall'arrivo i pellegrini che volevano sciogliere un voto, si levavano le calzature e procedevano scalzi (ora l’usanza è meno frequente). Le due località dove si fermavano erano denominate “gli scalzatori” ed erano il ponte del fiume Cervaro e la confluenza del tratturo con la ferrovia per Potenza.

Non sorprende, per questo, che il culto dell’Incoronata sia risalito lungo i tratturi per allocarsi nei territori abruzzesi, spesso proprio in zone limitrofe ai percorsi tratturali quando non in località di partenza. Alcune chiese abruzzesi cambiarono, nel tempo, il titolo primitivo con quello di dedicazione a questo culto mariano che divenne via via più sentito. 

A Vasto, il complesso dell’Incoronata era originariamente dedicato a San Martino e fu fondato, secondo le tradizioni, nel 1738 in seguito ad un evento miracoloso che concluse un tragico periodo di siccità. A Sulmona, la chiesa dell’Incoronata era dedicata prima a S. Girolamo e poi alla Madonna della Croce, infine alla Vergine.

A Pescasseroli, la sede originaria della statua della Madonna non era quella dove ora si trova ma vi fu spostata per avere un posto più importante dove pregarla. La religiosità transumante definì quindi anche le scelte di culto che divennero momento aggregante tra le genti abruzzesi e pugliesi come, ad esempio tra i gli abitanti di Pescasseroli e quelli di Foggia che, forti del legami tra le due Madonne nere, vivificano a tutt’oggi questa continuità anche se i tratturi non sono più attraversati dai pastori. Le statue delle due Madonne, pur trattando lo stesso soggetto hanno, delle diversità: a Foggia, oltre al dipinto che caratterizza l’immagine della Madonna arborea ed i suoi simboli, la statua della Vergine nera è stata, nel tempo, modificata nelle braccia così da poter sorreggere il santo Bambino, a Pescasseroli la Vergine stringe nella mano destra una palla (= il mondo) e nella sinistra il Figlio.

Le differenze nelle varie rappresentazioni sottolineano la molteplicità dei tratti veicolati da contesti che mescolavano aspetti culturali e devozionali intrisi dei vari influssi locali.

Le tracce delle leggende di fondazione appena descritte offrono spunti di riflessione sulla necessità di recuperare aspetti della quotidianità della vita e dei luoghi: spesso i protagonisti erano pastori o contadini che pascolavano animali o smarrivano il gregge o conducevano armenti, la scena dell’apparizione si svolgeva di solito in boschi, zone montuose, campi, ed era forte il contributo degli animali stessi (Daino, Mulo, Buoi che si impuntavano o si inginocchiavano) al conferimento “soprannaturale” e quindi sacro dell’evento. Si intende perciò sottolineare che gli elementi naturali ed animali che le popolazioni dei luoghi conoscevano, entravano a far parte della costruzione stessa dell’impianto sacro sia perché filiazione di culti precedenti sia perché i pastori Felice Calcagno e il giovane di Rapino e i contadini Bertoldino e Floro erano espressione del mondo dei contadini e dei pastori che si muoveva sul territorio ed aveva bisogno di credere attraverso la mediazione di elementi conosciuti come lo erano le piante da loro coltivate tra i cui rami, un giorno, apparve la Santa Madre.


Bibliografia di riferimento:
Di Nicola G., Canzano. Storia – Folclore – Turismo, Edizioni ECO, S. Gabriele, (TE), 1979.Dini V., Il potere delle antiche madri, Boringhieri Editore, Torino, 1980.Eliade M., Il sacro e il profano, Bollati Boringhieri Editore, Torino, 2001.Gasparroni A., La processione delle Verginelle a Rapino, in Santini et Similia, n.19, Barbieri Editore, Manduria (TA), 2000.Gasparroni A., Magie d’Abruzzo. Miti, riti, universi simbolici, Barbieri Selvaggi Editori, Manduria (TA), 2010.Giancristofaro E., Tradizioni popolari d’Abruzzo, Newton Compton Editori, Roma, 1995.Gulli E., Il santuario e la leggenda di fondazione, in “Lares”, XXXVIII, Olschki Editore, Firenze, 1972.Profeta G., Le leggende di fondazione dei Santuari, in “Lares” XXXVI, Olschki Editore, Firenze, 1970.Tozzi I., Il culto delle Madonne arboree nelle diocesi di Rieti e Sabina, in “Silvae”, Rivista del Corpo Forestale dello Stato, anno III, n.7, 2007.



Ringraziamenti:
 Ringrazio sentitamente Fabiola che ha scritto interamente questo articolo.




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