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mercoledì 9 gennaio 2013

Genova e la pestilenza del 1656


“Li morti in Genova sono più di 60 e meno di 70 milla e quelli dei suburbii cira 4000. In S;Per d’Arena e Cornigliano più di 6000. Nella valle di Polcevera non giungono a 4000. Quelli di Sestri e delle sue Ville eccedono di poco, 5000. Quelli di Pegli, Prà, Voltri, Voraggine e Savona, non sono in tutto 2000. Quelli di Recco con le sue Ville sono 1016. Quelli di Chiavari con i suoi borghi non giungono a 2000”. 
  
(P. Antero Maria di S. Bonaventura)


“Considerato etiam prima d’ora la protezione attenuto e tiene del presente luogo la SS. Vergine Maria del Monte Allegro, e tante e sì innumerevoli gratie avute da essa, quale da 100 anni in qua, che sono trascorsi li 2 luglio passato che si è ritrovata in quell’avventurato monte, ha con così evidente miracolo conservato intatto questo luogo da ogni avversità, massima di contagio di peste, dal quale al presente, siccome altre volte è stato da per tutto circondato… cosa veramente di gran speculazione et evidente miracolo…”.

(Frammento dell’atto che il Notaio cancelliere del Comune, Bartolomeo Costaguta redige in Rapallo il 29 agosto 1657)

Anche Genova fu coinvolta nella pestilenza che nel 1630 compromise tutto il Nord Italia.

La Superba però da sempre città di guerrieri, mercanti e potenza marinara sapendo di essere a rischio epidemie visti gli scambi commerciali con l'estero e, fatto tesoro delle varie esperienze, lasciate dalle altre grandi epidemie del 1300-1400 riuscì a tutelarsi attraverso l'istituzione di un Magistrato di Sanità con l'incarico di gestire l'emergenza.

Si sospendevano balli e feste, insomma tutte le attività ricreative di gruppo, e si istituiva un cordone sanitario lungo tutte le mura che  permettesse l'ingresso solo a possessori di appositi certificati sanitari.

I lazzaretti e gli ospedali non furono costruiti dentro le mura ma fuori, nelle campagne, lontano dai centri abitati, contrariamente a ciò che fecero grandi città come Milano e Firenze.

Vennero poi organizzate ronde (frequenti) di controllo nelle zone portuali e, visti gli accessi incontrollati, si prendeva in considerazione la quarantena ed addirittura il rogo per le navi sospette. 

Ovviamente la storia insegna che le "azioni" non erano proprio tutte legittime. 
Ufficiali sanitari nominati dal Magistrato dovevano segnalare le case e gli abitati più sporchi e venefici, sospettati quindi, di ospitare appestati. Venivano quindi, le case,  cosparse di sostanze purificanti, aceto per la maggiore ma anche un intruglio di (rosmarino, aglio, aceto e calce) e poi sigillate! Sigillate con all'interno le persone.

Ne abbiamo ancora un esempio, non a Genova,  ma a Triora, dove un intero quartiere fu murato ed ancora lo si può visitare, perchè intatto.

Raramente gli indigenti venivano trasportati nei lazzaretti fuori le mura, perché i mezzi a disposizione erano pochissimi e richiedevano pagamenti che ovviamente solo i ricchi potevano permettersi.

I nobili potevano essere curati in casa, dai medici personali, l'erario della città foraggiava i familiari dei malati "notabili" in caso di isolamento o indigenza. Alla morte dei sopracitati malati gli averi venivano bruciati a scopo di profilassi ed anche per combattere lo sciacallaggio.



1 commento:

  1. ma nonostante tutte queste misure i genovesi non hanno evitato quasi 70 000 vittime...

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